mercoledì 21 gennaio 2009

Il diritto alla vita ed alla morte


Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Terry Schiavo.
Intorno a questi nomi, ormai tristemente noti all'opinione pubblica, si è coagulato negli ultimi il dibattito in Italia sul tema dell'eutanasia e sulla dignità della vita più in generale.

E' stato ed è tuttora un dibattito difficile, spesso uno scontro aperto, tanto più che le forze in campo sono sproporzionate. a favore di un riconoscimento dell'autodeterminazione in relazione alla propria morte ci sono poche forze organizzate: i soliti radicali, alcune associazioni laiche, alcuni quotidiani, parte della magistratura giudicante e una fetta dell'opinione pubblica. Contro questa posizione si schierano praticamente tutti gli altri, a partire dalla Chiesa Cattolica, che ha tuttora un'enorme influenza sull'opinione pubblica, anche quella non credente, e quasi tutto il mondo politico e istituzionale,nonché vasti settori del mondo della Sanità.

A prescindere dal clamore suscitato intorno a queste vicende dobbiamo riconoscere che il problema della dignità della vita e della morte esiste. Grazie ai progressi della scienza medica e all'allungamento dell'aspettativa di vita media la possibilità per ciascuno di noi, qualunque sia la sua posizione sociale, di trovarsi un giorno in condizioni di salute tali da non dover più ritenere la propria vita di essere vissuta sono assai più che in passato.

Poiché il problema sarà sempre più sentito anche in futuro è necessario cercare un approccio per una soluzione condivisa. Da qui la necessità di un dialogo vero tra tutte le parti in causa sulla base di una pari dignità. Un dialogo sincero può essere avviato solo su basi chiare e condivise e qui si presenta un formidabile ostacolo.

Un principio su cui, secondo me, non si può transigere è che sia diritto e dovere di ciascuno di noi capire quali sono le condizioni entro cui la nostra personale esistenza è degna e meritevole di essere vissuta, ovviamente nel più ampio rispetto della vita e dei diritti altrui. Questo principio può essere coniugato in molti modi, ad esempio tramite il cosiddetto testamento biologico, ma non può essere vincolata a priori da qualsivoglia principio ideologico o religioso.

O si accetta il fatto che, anche affidandosi con le dovute garanzie all'aiuto delle persone più care, ciascuno possa decidere per sé stesso a quali condizioni la propria vita sia degna di essere vissuta, o si commette inevitabilmente un atto di arbitrio e potenzialmente di violenza, chiudendo la porta ad ogni possibile dialogo.

E' un fatto che il riconoscimento di nuovi diritti sociali non sia quasi mai un processo rapido e indolore, ma si passi sempre attraverso una fase di conflitto anche aspro. D'altra parte sono convinto che, come in passato il riconoscimento del diritto alla vita e della pari dignità di tutti gli esseri umani ha avuto un fortissimo impatto sulle nostre società, così accettare la fondamentale importanza del diritto ad una vita e ad una morte dignitose, nel rispetto delle convinzioni di ciascuno, getterebbe le basi per una vita migliore per tutti.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La vita va vissuta, ma con dignità e consapevolezza di se, altrimenti non è vita umana ma vegetale. Io so già che fine vorrei fare se dovessi diventare un vegetale (soprattutto se dovessi diventare un cetriolo :-) )

Anonimo ha detto...

Il diritto alla vita va tutelato in tutte le sue espressioni.
Disporre della vita non è però atteggiamento utile e/o buono per l'uomo. La vita stessa è data, e non è disponibile all'individuo. E' un dono da utilizzare per trarre il massimo della felicità, della corrispondenza con il proprio desiderio di verità. Il disporre il termine o usarla contro la propria felicità in rincorsa a ideali di autodeterminazione o altre pretese di comodo e materialiste è un'atteggiamento bestiale un disprezzo della vita stessa, dono di inestimabile valore.