- Guardate che ho vinto! Guardate che ho vinto!
Il quieto brusio del centro commerciale è rotto dalle urla eccitate di un ragazzino in corsa. Insieme a quattro o cinque amici che lo seguono da presso, attirano l'attenzione delle persone in attesa alla biglietteria del multisala agitando ciascuno un peluche. I pupazzi che mostrano mi incuriosiscono, sono molto belli ma non mi sarei mai aspettato di vedere i personaggi dell'Era Glaciale in mano a degli adolescenti griffati.
Soddisfatto della sua esibizione il gruppo si allontana vociando. Alle loro spalle, una piccola folla di bambini si raccoglie intorno ad un gioco di destrezza con l'artiglio, dal cui sportello spalancato traboccano altri pupazzi, più piccoli ma ugualmente tentatori. I bimbi cercano con lo sguardo i genitori che, con espressione fintamente distratta, li autorizzano a servirsi.
Finita la calca, alcuni peluche restano sul fondo dell'apparecchio, in attesa di qualche fortunato passante.
- Ehi, hai visto? Ce ne mettono davvero tanti di pupazzi in questi giochi!
giovedì 30 settembre 2010
Il trofeo
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domenica 26 settembre 2010
Il senso della morte?
La stagione sta cambiando davvero, tanto nel clima, quanto nel ritmo quotidiano, ma qualcuno non se ne accorgerà più.
Il padre di mia moglie, di cui ho parlato in alcuni post precedenti, ci ha lasciati il mese scorso. Il suo calvario non è stato breve e non è stato neppure facile cercare di assisterlo; spero sinceramente che ora sia più sereno.
Dopo la sua scomparsa abbiamo provato, tra le tante emozioni, un gran senso di vuoto. Improvvisamente tutti gli sforzi, fisici e mentali, profusi durante la sua malattia non solo non erano più necessari, ma erano diventati improvvisamente azioni senza un fine. Ci si doveva risollevare e affrontare la nuova situazione, cercando di capire ciò era necessario fare ora, ed è comunque tanto.
Ho provato a chiedermi se la sua scomparsa mi abbia insegnato qualcosa di particolare sulla morte in sè. Onestamente la lezione più importante che ho re-imparato è il cercare di vivere questa vita con più saggezza e amore possibili. Troppo profondo è l'abisso che ci attende e non credo mi sia dato trovarne un senso.
A questo proposito ho delle sensazioni e delle ipotesi e forse ne parlerò più avanti. Per oggi mi inchino con rispetto al viaggio di mio suocero, possa essere sereno e felice, ovunque egli sia.
Il padre di mia moglie, di cui ho parlato in alcuni post precedenti, ci ha lasciati il mese scorso. Il suo calvario non è stato breve e non è stato neppure facile cercare di assisterlo; spero sinceramente che ora sia più sereno.
Dopo la sua scomparsa abbiamo provato, tra le tante emozioni, un gran senso di vuoto. Improvvisamente tutti gli sforzi, fisici e mentali, profusi durante la sua malattia non solo non erano più necessari, ma erano diventati improvvisamente azioni senza un fine. Ci si doveva risollevare e affrontare la nuova situazione, cercando di capire ciò era necessario fare ora, ed è comunque tanto.
Ho provato a chiedermi se la sua scomparsa mi abbia insegnato qualcosa di particolare sulla morte in sè. Onestamente la lezione più importante che ho re-imparato è il cercare di vivere questa vita con più saggezza e amore possibili. Troppo profondo è l'abisso che ci attende e non credo mi sia dato trovarne un senso.
A questo proposito ho delle sensazioni e delle ipotesi e forse ne parlerò più avanti. Per oggi mi inchino con rispetto al viaggio di mio suocero, possa essere sereno e felice, ovunque egli sia.
Gya-te gya-te. Ha-ra gya-tei. Hara so gya-te.
sabato 25 settembre 2010
Cambio di stagione
Cambio di grafica e intenzioni per questo blog.
L'avevo pensato come un piccolo diario pubblico in cui riportare i riflessi dell'insegnamento del Buddha che incontro nel mio quotidiano; nel tempo mi sono reso conto che troppe cose, anche minori, sono rimaste fuori da un'ottica troppo stretta. Allarghiamo l'obiettivo quindi e speriamo di inquadrare altre scintille interessanti!
L'avevo pensato come un piccolo diario pubblico in cui riportare i riflessi dell'insegnamento del Buddha che incontro nel mio quotidiano; nel tempo mi sono reso conto che troppe cose, anche minori, sono rimaste fuori da un'ottica troppo stretta. Allarghiamo l'obiettivo quindi e speriamo di inquadrare altre scintille interessanti!
lunedì 3 maggio 2010
Il senso della vita
- Muoio, muoio, mi fate morire! - questa è la mesta litania del padre di mia moglie da
quando non è più autosufficiente ed è costretto a letto, con tanto di badante a part-time.
Non è mai stato un uomo socievole, né affettuoso, e ormai abbiamo ascoltato il suo deprimente
mantra talmente tante volte che, semplicemente, non lo sentiamo più.
Ieri mattina sono andato a pulirlo e l'ho trovato del solito umore rassegnato, mentre
assisteva ad una televendita di attrezzi di fitness ad un volume assurdo. Ho silenziato il
televisore e mentre lo cambiavo abbiamo iniziato uno dei nostri soliti dialoghi surreali.
- Muoio, muoio!
- No che non muore.
- No?
- No.
...
- Ma che fai? Mi fai morire!
- No, no, un attimo che ho finito.
...
- Basta, basta, ma perché mi deve capitare tutto questo? Voglio morire!
- No che non vuole morire.
- No?
- No.
...
All'ennesima replica mi sono fermato, l'ho osservato meglio e ho pensato che forse in quell'istante avrebbe potuto davvero ascoltarmi.
- Muoio, muoio, voglio morire!
- No che non vuole morire.
- No?
- No, lei non vuole morire, vuole solo essere accudito, nutrito e coccolato.
E' rimasto folgorato. Si è tolto per un attimo la maschera del sofferente e mi ha sorriso
con gli occhi scintillanti.
- L'avete capito allora, eh?
- E' da mo' che l'ho capita. Avrò studiato per qualcosa no?! - gli ho risposto ammiccando.
La reciproca libertà è durata pochi secondi, poi siamo ritornati al solito copione.
quando non è più autosufficiente ed è costretto a letto, con tanto di badante a part-time.
Non è mai stato un uomo socievole, né affettuoso, e ormai abbiamo ascoltato il suo deprimente
mantra talmente tante volte che, semplicemente, non lo sentiamo più.
Ieri mattina sono andato a pulirlo e l'ho trovato del solito umore rassegnato, mentre
assisteva ad una televendita di attrezzi di fitness ad un volume assurdo. Ho silenziato il
televisore e mentre lo cambiavo abbiamo iniziato uno dei nostri soliti dialoghi surreali.
- Muoio, muoio!
- No che non muore.
- No?
- No.
...
- Ma che fai? Mi fai morire!
- No, no, un attimo che ho finito.
...
- Basta, basta, ma perché mi deve capitare tutto questo? Voglio morire!
- No che non vuole morire.
- No?
- No.
...
All'ennesima replica mi sono fermato, l'ho osservato meglio e ho pensato che forse in quell'istante avrebbe potuto davvero ascoltarmi.
- Muoio, muoio, voglio morire!
- No che non vuole morire.
- No?
- No, lei non vuole morire, vuole solo essere accudito, nutrito e coccolato.
E' rimasto folgorato. Si è tolto per un attimo la maschera del sofferente e mi ha sorriso
con gli occhi scintillanti.
- L'avete capito allora, eh?
- E' da mo' che l'ho capita. Avrò studiato per qualcosa no?! - gli ho risposto ammiccando.
La reciproca libertà è durata pochi secondi, poi siamo ritornati al solito copione.
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mercoledì 25 novembre 2009
Vigile silenzio
Attraversiamo quotidianamente tempi tribolati, la pratica più preziosa è il vigile silenzio.
mercoledì 16 settembre 2009
Faces atopico
In coda dal dermatologo. Dopo mesi di attesa forse riuscirò finalmente a risolvere un fastidioso (e antiestetico) problema alle unghie. Il dottore arriva con discreto ritardo, come un centauro in corsa, dovrebbe avere circa la mia età. Mi assale il dubbio - Sarà abbastanza bravo?
Finalmente mi riceve, la visita è molto rapida, si informa della terapia in corso, scuote la testa e capisco che si è già fatto la sua opinione; vorrei prolungare un po' la visita, giusto per essere sicuro che ci abbia pensato bene. Gli racconto delle circostanze in cui è avvenuto il trauma, mi ascolta un attimo e subito mi interrompe - "Il danno non è derivato dal trauma" - afferma deciso - "era già dentro di lei".
In un attimo sudo freddo, adesso ho anche troppa della sua attenzione.
"Scusi, cosa intende esattamente?" - gli chiedo esitando.
Mi guarda ancora meglio e comincia con una serie di domande preoccupanti.
"Ha problemi alla colonna vertebrale? Sente mai dei brividi alle gambe?"
"No"
"Allergie? Valori anomali nel sangue?" - e altre domande dello stesso, preoccupante, tenore.
"No" - insisto - "non ho nessun sintomo particolare negli ultimi mesi"
Adesso gli interesso per davvero, mi osserva gli occhi, mi scruta il viso e poi afferma sicuro - "Ecco la causa, lei ha un faces atopico".
Ho un cosa? penso tra me. Comincio ad avere paura - "Scusi, che cosa significa in italiano?" - lo so, non è una domanda brillante, ma lì per lì non mi è venuto di meglio.
"Da piccolo aveva fastidi incomprensibili? Non sopportava i vestiti? Passava lunghi periodi da solo? Ha avuto degli episodi schizofrenici? Come reagiva ad un pugno?" - e altro ancora. In un attimo questo medico, che non mi aveva mai visto prima, ha letto come un libro aperto episodi e sensazioni della mia prima infanzia, alcuni semplici, altri molto privati, che hanno segnato fortemente la mia crescita. Incuriosito dalle sue intuizioni quasi sciamaniche approfondisco alcune delle sue affermazioni e sono fulminato dalla precisione del me bambino che ha tracciato.
Termina la pausa e torniamo a parlare della terapia, mi spiega con pazienza tutto ciò che devo fare e mi assicura che in un mese recupereremo l'anno perso con farmaci inadatti, spero proprio che abbia ragione.
Prima di salutarlo mi complimento con lui per la sua acutezza - "Non è affatto difficile" - si schernisce - "il faces non sbaglia mai". Forse ha ragione lei dottore, ma solo per chi lo sa leggere.
Quanti segreti, che pensiamo siano sepolti profondamente dentro di noi, sono in realtà sul nostro viso, agli occhi di tutti, senza che ce ne rendiamo neppure conto?
E guardando tutto dall'altro lato, quanta parte del nostro complicato percorso di crescita, delle nostre paure, è dovuta a semplici disturbi, magari mai diagnosticati e sempre considerati normali?
Quanto poco sappiamo di noi stessi e del nostro corpo?
Finalmente mi riceve, la visita è molto rapida, si informa della terapia in corso, scuote la testa e capisco che si è già fatto la sua opinione; vorrei prolungare un po' la visita, giusto per essere sicuro che ci abbia pensato bene. Gli racconto delle circostanze in cui è avvenuto il trauma, mi ascolta un attimo e subito mi interrompe - "Il danno non è derivato dal trauma" - afferma deciso - "era già dentro di lei".
In un attimo sudo freddo, adesso ho anche troppa della sua attenzione.
"Scusi, cosa intende esattamente?" - gli chiedo esitando.
Mi guarda ancora meglio e comincia con una serie di domande preoccupanti.
"Ha problemi alla colonna vertebrale? Sente mai dei brividi alle gambe?"
"No"
"Allergie? Valori anomali nel sangue?" - e altre domande dello stesso, preoccupante, tenore.
"No" - insisto - "non ho nessun sintomo particolare negli ultimi mesi"
Adesso gli interesso per davvero, mi osserva gli occhi, mi scruta il viso e poi afferma sicuro - "Ecco la causa, lei ha un faces atopico".
Ho un cosa? penso tra me. Comincio ad avere paura - "Scusi, che cosa significa in italiano?" - lo so, non è una domanda brillante, ma lì per lì non mi è venuto di meglio.
"Da piccolo aveva fastidi incomprensibili? Non sopportava i vestiti? Passava lunghi periodi da solo? Ha avuto degli episodi schizofrenici? Come reagiva ad un pugno?" - e altro ancora. In un attimo questo medico, che non mi aveva mai visto prima, ha letto come un libro aperto episodi e sensazioni della mia prima infanzia, alcuni semplici, altri molto privati, che hanno segnato fortemente la mia crescita. Incuriosito dalle sue intuizioni quasi sciamaniche approfondisco alcune delle sue affermazioni e sono fulminato dalla precisione del me bambino che ha tracciato.
Termina la pausa e torniamo a parlare della terapia, mi spiega con pazienza tutto ciò che devo fare e mi assicura che in un mese recupereremo l'anno perso con farmaci inadatti, spero proprio che abbia ragione.
Prima di salutarlo mi complimento con lui per la sua acutezza - "Non è affatto difficile" - si schernisce - "il faces non sbaglia mai". Forse ha ragione lei dottore, ma solo per chi lo sa leggere.
Quanti segreti, che pensiamo siano sepolti profondamente dentro di noi, sono in realtà sul nostro viso, agli occhi di tutti, senza che ce ne rendiamo neppure conto?
E guardando tutto dall'altro lato, quanta parte del nostro complicato percorso di crescita, delle nostre paure, è dovuta a semplici disturbi, magari mai diagnosticati e sempre considerati normali?
Quanto poco sappiamo di noi stessi e del nostro corpo?
mercoledì 9 settembre 2009
Viva la libertà

Io non sono né ateo, né razionalista, né agnostico, come può indovinare chiunque entri sul mio blog, ma voglio segnalare a tutti l'evento dell'UAAR del 19 settembre.
Lo faccio sia perché credo che assolutamente necessario ascoltare anche la loro voce, invece delle continue demonizzazioni che li circondano, sia perché concordo pienamente con le loro proposte concrete.
In bocca al lupo, amici dell'UAAR e non vi scoraggiate, un giorno il vento cambierà.
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