Un pomeriggio afoso al giardino pubblico vicino casa. Pochi bambini.
Piove, tutti sotto gli scivoli a ripararci!
Io e mio figlio che giochiamo a bocce sotto le scivolo, un bimbo che ci guarda - Vuoi giocare con noi? - gli chiedo.
Non sono capace - ci risponde.
Dai che ti insegniamo noi!- gli diciamo. E inventiamo altri giochi insieme.
Passa un'ora, dobbiamo andare, qualcuno ha bisogno del nostro aiuto, ma per questa volta abbiamo vinto noi e la vita ha girato come sempre dovrebbe, in armonia, senza sospetti e senza fretta... alla prossima bolla...
lunedì 14 luglio 2008
giovedì 22 maggio 2008
Grande confusione sotto il cielo
Gli ultimi mesi sono stati (e lo sono ancora) faticosi e complicati. Tanti problemi pratici da risolvere e situazioni da chiarire, molta azione e poca meditazione, purtroppo.
Pian piano stiamo aggiustando tutto e spero presto di potervi raccontare quello che ho imparato. In questi giorni sto usando il mio tempo on-line per mettere in ordine gli scaffali della mia libreria su aNobii, chi vuole curiosare è il benvenuto!
Pian piano stiamo aggiustando tutto e spero presto di potervi raccontare quello che ho imparato. In questi giorni sto usando il mio tempo on-line per mettere in ordine gli scaffali della mia libreria su aNobii, chi vuole curiosare è il benvenuto!
martedì 11 marzo 2008
Televisione senza respiro
Ieri sera, abbiamo fatto un po' di zapping in televisione, evento raro perché di solito la TV è accesa solo sui canali di cartoni animati di mio figlio. Mia moglie ha cominciato a guardare la prima puntata del nuovo show di Simona Ventura, XFactor, mentre io giocavo con Lorenzo in camera sua, poi ci siamo dati il cambio e mi sono incuriosito anch'io.
Normalmente sono molto diffidente verso i programmi televisivi, non mi piacciono le conduzioni urlate, i primi piani esasperati con lacrima automatica e tutti gli altri trucchetti strappa-ascolti di cui si abusa nei programmi, ma XFactor mi sembrava ben fatto e presentato anche in maniera simpatica, così non ho cambiato canale. La prima impressione del programma è stata di una grande professionalità, tempi serrati, ma non all'eccesso, presentazione dei concorrenti con brevi videoclip girati alle selezioni e in famiglia, giuria piccola ma di impatto (la star della TV che fa ascolto, il cantante famoso e anticonformista e la professionista del settore disposta a impersonare la cattiva di turno).
Nonostante tutto ho cominciato presto a sentirmi soffocare ed in breve ho capito il trucco. Per tutta la trasmissione non c'è un momento di stacco, le emozione dello spettatore sono continuamente sollecitate, sia che si tratti della presentazione di una canzone, di un video della famiglia o di un primo piano del dopo esibizione. Il massimo del pathos si raggiunge ovviamente nel momento in cui ciascun capitano deve decidere chi abbandonerà la propria squadra. Qui l'enfasi su ogni frase e su ogni occhiata era tale che ho voluto fare un gioco, ho guardato tutta la sequenza dell'eliminazione senza sonoro, ed in effetti non c'era bisogno di parole. In due minuti di orologio sono stati compressi tutti i messaggi che potevano essere associati a questo evento: il prologo obbligatorio per rassicurare i concorrenti che anche se uno deve essere eliminato sono stati tutti bravissimi; il primo piano su ciascun concorrente che in attesa del verdetto comincia a sudare copiosamente, poi spegne il sorriso di circostanza ed infine inizia a piangere sommessamente; il discorso addolorato del capitano che lo elimina, sfiorando le lacrime anch'egli. Al termine ecco infine l'emissione del verdetto, la sua dignitosa accettazione da parte dell'eliminato e il consiglio/conforto degli altri giurati. Non può mancare la fatidica domanda del presentatore al concorrente eliminato - Cosa hai provato ad essere eliminato? - ed ecco, la catarsi è compiuta, il sorriso torna sul viso del nostro ex-candidato - Prima di tutto sono contentissimo di essere arrivato fin qui, ecc. ecc. - ed ecco l'addio con tanti saluti a tutti.
Attenzione, non sto dicendo che le emozioni che tutte queste persone hanno trasmesso non siano sincere, ma è fin troppo evidente come siano state progettate, provate, suggerite e amplificate oltre misura. Come se tutto ciò che conta di quella persona, che si sottopone al giudizio del dio Televoto in cambio di un possibile ingaggio di un discografico o della TV, dovesse essere tutto espresso, sfruttato e spiegato in quei tre minuti, e poi avanti il prossimo, proprio come predicava Andy Warhol.
Mi spiace, ma questo proprio non lo accetto. Guardiamo pure la televisione. Partecipiamo con trasporto o con divertimento a queste brevi estratti di vita che sia affacciano sullo schermo, ma per favore, non confondiamole con la vita vera, quella fatta anche di attese e di silenzi, di impegno e di piccole gioie quotidiane, in cui alla fine, l'unica vera giuria siamo solo noi stessi e chi vive vicino a noi.
Normalmente sono molto diffidente verso i programmi televisivi, non mi piacciono le conduzioni urlate, i primi piani esasperati con lacrima automatica e tutti gli altri trucchetti strappa-ascolti di cui si abusa nei programmi, ma XFactor mi sembrava ben fatto e presentato anche in maniera simpatica, così non ho cambiato canale. La prima impressione del programma è stata di una grande professionalità, tempi serrati, ma non all'eccesso, presentazione dei concorrenti con brevi videoclip girati alle selezioni e in famiglia, giuria piccola ma di impatto (la star della TV che fa ascolto, il cantante famoso e anticonformista e la professionista del settore disposta a impersonare la cattiva di turno).
Nonostante tutto ho cominciato presto a sentirmi soffocare ed in breve ho capito il trucco. Per tutta la trasmissione non c'è un momento di stacco, le emozione dello spettatore sono continuamente sollecitate, sia che si tratti della presentazione di una canzone, di un video della famiglia o di un primo piano del dopo esibizione. Il massimo del pathos si raggiunge ovviamente nel momento in cui ciascun capitano deve decidere chi abbandonerà la propria squadra. Qui l'enfasi su ogni frase e su ogni occhiata era tale che ho voluto fare un gioco, ho guardato tutta la sequenza dell'eliminazione senza sonoro, ed in effetti non c'era bisogno di parole. In due minuti di orologio sono stati compressi tutti i messaggi che potevano essere associati a questo evento: il prologo obbligatorio per rassicurare i concorrenti che anche se uno deve essere eliminato sono stati tutti bravissimi; il primo piano su ciascun concorrente che in attesa del verdetto comincia a sudare copiosamente, poi spegne il sorriso di circostanza ed infine inizia a piangere sommessamente; il discorso addolorato del capitano che lo elimina, sfiorando le lacrime anch'egli. Al termine ecco infine l'emissione del verdetto, la sua dignitosa accettazione da parte dell'eliminato e il consiglio/conforto degli altri giurati. Non può mancare la fatidica domanda del presentatore al concorrente eliminato - Cosa hai provato ad essere eliminato? - ed ecco, la catarsi è compiuta, il sorriso torna sul viso del nostro ex-candidato - Prima di tutto sono contentissimo di essere arrivato fin qui, ecc. ecc. - ed ecco l'addio con tanti saluti a tutti.
Attenzione, non sto dicendo che le emozioni che tutte queste persone hanno trasmesso non siano sincere, ma è fin troppo evidente come siano state progettate, provate, suggerite e amplificate oltre misura. Come se tutto ciò che conta di quella persona, che si sottopone al giudizio del dio Televoto in cambio di un possibile ingaggio di un discografico o della TV, dovesse essere tutto espresso, sfruttato e spiegato in quei tre minuti, e poi avanti il prossimo, proprio come predicava Andy Warhol.
Mi spiace, ma questo proprio non lo accetto. Guardiamo pure la televisione. Partecipiamo con trasporto o con divertimento a queste brevi estratti di vita che sia affacciano sullo schermo, ma per favore, non confondiamole con la vita vera, quella fatta anche di attese e di silenzi, di impegno e di piccole gioie quotidiane, in cui alla fine, l'unica vera giuria siamo solo noi stessi e chi vive vicino a noi.
lunedì 10 marzo 2008
Secondo passo, senza fretta
Seconda serata di zazen al nuovo dojo. Tra impegni familiari, malattie varie e tanta stanchezza ci ho messo quasi due mesi per riuscire a tornare dagli amici del Centro Tara Bianca, ma ne è valsa la pena.
La meditazione è stata molto concentrata ed ho cominciato ad imparare i ritmi del dojo. Dopo lo zazen ho cominciato a familiarizzare con gli altri praticanti davanti ad una pizza in un ristorantino vicino, veramente una bella serata.
Per ora va tutto bene. Devo solo rammentare due cose importanti: la prima è riavvicinarmi alla pratica con il mio passo, senza fretta di tornare subito in prima linea, la seconda è evitare paragoni con l'esperienza che ho vissuto quindici anni fa; del resto c'è il sigillo dello zazen a confermarmi nella mia scelta :) , ma di questo dovrò scrivere un'altra volta. Per adesso, avanti piano.
La meditazione è stata molto concentrata ed ho cominciato ad imparare i ritmi del dojo. Dopo lo zazen ho cominciato a familiarizzare con gli altri praticanti davanti ad una pizza in un ristorantino vicino, veramente una bella serata.
Per ora va tutto bene. Devo solo rammentare due cose importanti: la prima è riavvicinarmi alla pratica con il mio passo, senza fretta di tornare subito in prima linea, la seconda è evitare paragoni con l'esperienza che ho vissuto quindici anni fa; del resto c'è il sigillo dello zazen a confermarmi nella mia scelta :) , ma di questo dovrò scrivere un'altra volta. Per adesso, avanti piano.
venerdì 29 febbraio 2008
La storia di Tredicino
Quanto è bella la vita! Quanto è bella la vita! Quanto è bella la vita!
Lo ripeterò sempre ciò: mi dispiacerebbe morire giovane senza prima aver bevuto al calice di questa vita senza prima aver gustato il prelibato liquore della vita!
L'amore, la giovinezza, la lotta sono cose fatte per l'uomo.
E' inutile che l'uomo cerchi di mascherarsi sotto l'aspetto della civilizzazione: egli è sempre rimasto quello che era in principio: fare la preda di queste passioni che a parer mio sono quelle principali che reggono il mondo!
Lo ripeterò sempre ciò: mi dispiacerebbe morire giovane senza prima aver bevuto al calice di questa vita senza prima aver gustato il prelibato liquore della vita!
L'amore, la giovinezza, la lotta sono cose fatte per l'uomo.
E' inutile che l'uomo cerchi di mascherarsi sotto l'aspetto della civilizzazione: egli è sempre rimasto quello che era in principio: fare la preda di queste passioni che a parer mio sono quelle principali che reggono il mondo!
(Generazione ribelle - pag.110)
Ho trovato queste riflessioni esuberanti studiando una bella raccolta di lettere di resistenti italiani della II Guerra Mondiale. Se oggi qualcuno mi dicesse le stesse cose sinceramente lo considererei un po' troppo ingenuo e cercherei di farlo ragionare, ma dette da un ragazzo di 17 anni dopo sei mesi di guerra in montagna hanno tutto un altro sapore.
Ludovico Ticchioni, nome di battaglia Tredicino, scriveva queste righe sul suo diario l'8 dicembre del 1944, tre mesi dopo aver fatto la scelta partigiana ed essere fuggito in montagna. Ludovico era una testa calda, figlio di un ufficiale monarchico e noto in paese per la sua insofferenza ai fascisti, si era unito alla Resistenza a 17 anni contro il parere della madre. Il suo diario trasmette un infinito amore per la vita, l'Italia e l'avventura.
In questi tempi così nebbiosi, in cui tutto vediamo e così poco viviamo, le figure come la sua sembrano veramente venire da un altro mondo. Leggete cosa scrive il 17 gennaio 1945, venti giorni dopo la sua cattura da parte delle truppe repubblichine.
Sono sicuro che oggi
sarà il mio ultimo
giorno di vita.
Non mi importa
di morire.
sarà il mio ultimo
giorno di vita.
Non mi importa
di morire.
(archivio INSMLI)
Ludovico oggi avrebbe 81 anni, esattamente il doppio della mia età. Se fosse ancora con noi mi piacerebbe parlargli, chiedergli cosa ne pensasse delle sue parole infuocate di allora e se fosse riuscito a mantenere acceso il fuoco della sue passioni per tutta una lunga vita. Ma Tredicino non poté realizzare i suoi sogni. Un mese dopo la sua ultima lettera fu fucilato a tradimento dai fascisti con il suo coetaneo Gino Villa, entrambi ancora minorenni, a pochi mesi dalla fine della guerra.
Fonti:
Generazione ribelle - Diari e lettere dal 1943 al 1945 (A cura di Mario Avagliano)
Einaudi Editore
Archivio INSMLI
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martedì 26 febbraio 2008
Distillato di passioni
Guardatevi intorno, guardate bene. Dovunque siate, ma specialmente se siete in una città, vedrete uno spettacolo deprimente, ma ormai così abituale da essere scontato: tutti corrono! Corrono gli adulti, stritolati dagli orari di lavoro e dagli impegni familiari. Corrono i bambini, già programmati tra la scuola e i corsi preparatori di ogni genere, in pieno stile giapponese. Corrono perfino gli anziani, divisi tra la cura dei nipoti, chi può, e le sale d'aspetto di medici e istituti d'ogni sorta, necessarie per vivere dignitosamente la propria vecchiaia e aiutare chi non riesce più a cavarsela da solo.
Sono pochi gli eventi che riescono a farci rallentare: una malattia, una delusione o peggio una disgrazia, su di noi o di chi ci sta vicino. Ma come sei deprimente - direte - e le buone notizie? Avete ragione, anche gli eventi positivi ci fanno fermare per un attimo: la nascita di un bambino, un nuovo amore, un successo meritato o semplicemente un bel colpo di fortuna. Purtroppo in questi casi il nostro inconscio è traditore e cerca di trasformare ogni buona notizia in una scusa per alzare la posta, per creare nuove aspettative e nuove speranze, ed eccoci subito a correre a perdifiato per realizzarle!
Come quasi tutti, anch'io partecipo a questo gioco senza fine e spesso mi trascino confuso. Non mi chiedo più perché sto correndo e mi limito a seguire la routine che io stesso ho creato per vivere nel miglior modo possibile, o almeno credo. Un ritardo di pochi minuti in metropolitana o un contrattempo in auto diventano fonti di ansia e preoccupazione, non perché il mondo stia per crollare intorno a me se non mi muovo sempre nei tempi giusti, ma perché il mio spirito stanco non riesce più a reagire e si affida supinamente al già visto, al già vissuto.
In questo scenario desolante c'é una piccola perla, una scintilla di luce che si stacca dal grigiore di fondo e mi ridà ottimismo e speranza. E' come sentire durante la notte il suono di una goccia che cade. Mi fermo un attimo, mi giro, e scopro che in quel momento la vita mi ha insegnato qualcosa di nuovo. Anche questa volta il distillato di passioni e speranze che ho raccolto negli anni è diventato un po' più ricco, un piccolo mistero è stato svelato.
Non mi illudo che questo basti. Per poter dare una svolta vera, radicale, alla qualità della propria vita, non bastano queste piccole gocce di saggezza. Dubito che basti persino una vita intera dedicata alla ricerca della verità. Queste piccole gocce però hanno un enorme valore. Testimoniano che sono ancora vivo, che il mio spirito é ancora in ascolto dell'Universo e forse, un giorno, anche i miei occhi e le mie mani finalmente si apriranno.
Sono pochi gli eventi che riescono a farci rallentare: una malattia, una delusione o peggio una disgrazia, su di noi o di chi ci sta vicino. Ma come sei deprimente - direte - e le buone notizie? Avete ragione, anche gli eventi positivi ci fanno fermare per un attimo: la nascita di un bambino, un nuovo amore, un successo meritato o semplicemente un bel colpo di fortuna. Purtroppo in questi casi il nostro inconscio è traditore e cerca di trasformare ogni buona notizia in una scusa per alzare la posta, per creare nuove aspettative e nuove speranze, ed eccoci subito a correre a perdifiato per realizzarle!
Come quasi tutti, anch'io partecipo a questo gioco senza fine e spesso mi trascino confuso. Non mi chiedo più perché sto correndo e mi limito a seguire la routine che io stesso ho creato per vivere nel miglior modo possibile, o almeno credo. Un ritardo di pochi minuti in metropolitana o un contrattempo in auto diventano fonti di ansia e preoccupazione, non perché il mondo stia per crollare intorno a me se non mi muovo sempre nei tempi giusti, ma perché il mio spirito stanco non riesce più a reagire e si affida supinamente al già visto, al già vissuto.
In questo scenario desolante c'é una piccola perla, una scintilla di luce che si stacca dal grigiore di fondo e mi ridà ottimismo e speranza. E' come sentire durante la notte il suono di una goccia che cade. Mi fermo un attimo, mi giro, e scopro che in quel momento la vita mi ha insegnato qualcosa di nuovo. Anche questa volta il distillato di passioni e speranze che ho raccolto negli anni è diventato un po' più ricco, un piccolo mistero è stato svelato.
Non mi illudo che questo basti. Per poter dare una svolta vera, radicale, alla qualità della propria vita, non bastano queste piccole gocce di saggezza. Dubito che basti persino una vita intera dedicata alla ricerca della verità. Queste piccole gocce però hanno un enorme valore. Testimoniano che sono ancora vivo, che il mio spirito é ancora in ascolto dell'Universo e forse, un giorno, anche i miei occhi e le mie mani finalmente si apriranno.
sabato 2 febbraio 2008
Primo passo (quando stiamo fermi, il tempo corre)
Dal mio ultimo post sono passate molte settimane, dominate dalla vita normale. Prima molto lavoro per chiudere l'anno in ufficio, poi le necessarie e attesissime vacanza, passate tutte a casa con i miei e infine nuove urgenze in ufficio a Gennaio. Trascinato dalla corrente ho avuto pochissime occasioni di sedermi tranquillamente in zazen e ho compreso che a casa per ora non è possibile ricominciare una pratica regolare.
Per continuare la mia ricerca, ho cominciato allora a cercare se vi fossero in città dei dojo a cui potesse bussare un vecchio principiante come me. Dopo varie ricerche e consigli ho trovato finalmente un centro che mi sembrava il più accogliente per ricominciare. Ho contattato i responsabili del centro, ho preso un appuntamento e finalmente sono andato a visitarli.
Non vi dirò dove sono andato, almeno non per ora, ma vi posso dire che è stata veramente una bella sorpresa. Persone molto accoglienti e cordiali, un ambiente molto curato e una pratica essenziale, esattamente quello che cerco. Certo, non è sotto casa, ma del resto a Roma quasi tutto è fuori mano, a meno che non si abiti in centro.
Tutto bene - direte voi - hai trovato un buon dojo, adesso ti organizzi per andarci una volta a settimana e poi vedi se ti piace.
In realtà è stato proprio così, ma una volta tornato a casa mi è rimasta addosso una sensazione di inquietudine che non mi aspettavo. Dopo qualche giorno ho capito di cosa si trattava. Semplicemente ho realizzato che la mia vita è talmente cambiata dai tempi in cui praticavo assiduamente, che per riuscire a ricominciare una pratica vera, efficace, devo abbandonare tutti gli automatismi, i comportamenti e le aspettative che avevo acquisito a quei tempi, e che si sono immediatamente rimessi in moto appena entrato nel dojo.
Non sarà facile. Quindici anni fa per me entrare in un dojo ha significato anche incontrare una seconda famiglia, accettare una educazione a volte severa e impegnare tutto il mio tempo libero a favore dell'associazione che sosteneva il dojo, fino a partecipare materialmente alla sua stessa costruzione. Ora è tutto diverso e devo sforzarmi di non confondere le mie aspettative "sociali" con il cuore profondo dello zazen, altrimenti so che alla lunga resterò deluso... e sarà solo colpa mia.
Per continuare la mia ricerca, ho cominciato allora a cercare se vi fossero in città dei dojo a cui potesse bussare un vecchio principiante come me. Dopo varie ricerche e consigli ho trovato finalmente un centro che mi sembrava il più accogliente per ricominciare. Ho contattato i responsabili del centro, ho preso un appuntamento e finalmente sono andato a visitarli.
Non vi dirò dove sono andato, almeno non per ora, ma vi posso dire che è stata veramente una bella sorpresa. Persone molto accoglienti e cordiali, un ambiente molto curato e una pratica essenziale, esattamente quello che cerco. Certo, non è sotto casa, ma del resto a Roma quasi tutto è fuori mano, a meno che non si abiti in centro.
Tutto bene - direte voi - hai trovato un buon dojo, adesso ti organizzi per andarci una volta a settimana e poi vedi se ti piace.
In realtà è stato proprio così, ma una volta tornato a casa mi è rimasta addosso una sensazione di inquietudine che non mi aspettavo. Dopo qualche giorno ho capito di cosa si trattava. Semplicemente ho realizzato che la mia vita è talmente cambiata dai tempi in cui praticavo assiduamente, che per riuscire a ricominciare una pratica vera, efficace, devo abbandonare tutti gli automatismi, i comportamenti e le aspettative che avevo acquisito a quei tempi, e che si sono immediatamente rimessi in moto appena entrato nel dojo.
Non sarà facile. Quindici anni fa per me entrare in un dojo ha significato anche incontrare una seconda famiglia, accettare una educazione a volte severa e impegnare tutto il mio tempo libero a favore dell'associazione che sosteneva il dojo, fino a partecipare materialmente alla sua stessa costruzione. Ora è tutto diverso e devo sforzarmi di non confondere le mie aspettative "sociali" con il cuore profondo dello zazen, altrimenti so che alla lunga resterò deluso... e sarà solo colpa mia.
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